C'era una volta l'Amarone (2 parte)
Come abbiamo spiegato nel post precedente, era abbastanza facile “sbagliare” a fare un Recioto: bastava dimenticare di interrompere la fermentazione e quasi tutti gli zuccheri dell’uva appassita venivano consumati dai lieviti, che alla fine lasciavano il vino del tutto secco, o quasi. Qualcosa del genere dev’essere successo un giorno a Adelino Lucchese, cantiniere della Cantina sociale di Negrar, che si dimenticò di travasare una botticella di Recioto. Quando se ne accorse, provò a rimediare, ma ormai il danno era fatto: il vino era diventato di un bel rosso brillante, ed era completamente secco. Gaetano Dall’Ora, direttore della Cantina, fu subito avvisato del problema e volle assaggiare quel disastro: ma non fu deluso, anzi.
“Staolta te l’è proprio indovinà - si dice che abbia esclamato rivolto al suo cantiniere - Questo non è un amaro, ma un Amarone!”. Ovvero, diremmo noi adesso, non è un vino solo secco: è un vino potente, robusto, elegante, importante. E’ l’Amarone come lo conosciamo oggi, e che ogni cantina della Valpolicella, pur nel rispetto del disciplinare, produce secondo il proprio stile. Erano i primi anni Trenta del secolo scorso ed era nato il “Recioto Amarone della Valpolicella”. Come si vede, all’inizio - e per molti anni ancora - l’accento era sempre sul Recioto, considerato a tutti gli effetti il padre dell’Amarone. Per molti anni i nomi “Recioto” e “Amarone” comparvero insieme sulle etichette dei vini, con fantasiose varianti (“Recioto Amaro”, “Recioto della Valpolicella Amarone Classico” e altri ancora), e questo confondeva le persone, che non riuscivano a capire dall’etichetta se la bottiglia conteneva un vino dolce o secco. Finalmente, nel 1990 il disciplinare di produzione stabilì che “Recioto” e “Amarone” erano due vini diversi, e che andavano etichettati in maniera ben distinta. Così la produzione enologica della Valpolicella si era arricchito di un nuovo vino: insieme al Valpolicella e al Recioto, ora c’era anche l’Amarone.