Alla fontana

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Una volta non c’erano televisioni o radio. Però c’erano le fontane, e attorno ad esse le donne si ritrovavano, ciacolavano, si scambiavano informazioni e raccoglievano le ultime notizie del paese o della contrada.

In Valpolicella sono ancora abbastanza diffuse: le fontane con il lavatoio erano un bene prezioso per una comunità, l’acqua era sinonimo di vita per tutti, uomini, animali, coltivazioni. Quando nelle case non esisteva l’acqua corrente, le fontane erano considerate un tesoro, da custodire, curare e proteggere: la gente andava alla fontana per prendere l’acqua, ma anche per lavare i panni, ed è per questo che alla fontana era quasi sempre collegato anche un lavatoio in pietra. Quest’ultimo era spesso composto da più vasche, anche cinque, ognuna destinata ad un uso diverso.

La prima era quella in cui cadeva l’acqua: essendo la più pulita, si usava per raccogliere l’acqua da bere e per lavare stoviglie e attrezzi di cantina. La seconda vasca si usava per abbeverare gli animali, la terza era usata  per resentar, cioè per sciacquare i panni. Questi venivano prima lavati nella quarta vasca con la lissia, (acqua mista a cenere), sbattendoli bene contro le pietre. L’ultima vasca era destinata ai panni più sporchi. Alcune di queste fontane erano delle vere strutture architettoniche, dotate perfino di un tetto.

Ai nostri giorni non tutte le fontane con i loro lavatoi sono in buone condizioni, e l’acqua in genere è dichiarata “non potabile”.

Uno di questi lavatoi si trova proprio vicino alla nostra cantina: l’acqua non sarà potabile, come dice il cartello, ma è fresca, e quando d’estate il sole picchia duro, è piacevole anche solo fermarsi lì vicino.