Da S.Zeno a S.Marco: il tempo dei cavaleri

Le arele vuote del nostro fruttaio

Le arele vuote del nostro fruttaio

C’erano una volta, in Valpolicella, i cavaleri.

Cavaleri senza la “i”, mi raccomando, perché la gente li chiamava così. Il 12 aprile, festa di S.Zeno, patrono di Verona, era una volta una data molto importante nelle campagne veronesi, perchè era la data ufficiale in cui cominciava la stagione di questi cavaleri, che altro non erano che …i bachi da seta. In Valpolicella esistono ancora oggi molte chiese, sia parrocchiali che piccoli oratori, dedicati al famoso vescovo moro.

A San Zen la semenza in sen, diceva un vecchio proverbio. Questo perchè le donne delle famiglie che intendevano allevare i bachi da seta, partecipavano alla Messa in onore di S.Zeno portando il seme dei bachi nel corsetto, per tenerli al caldo ed evitargli sbalzi di temperatura, che potevano comprometterne la schiusa. Durante la funzione religiosa i “semi”, com’erano chiamate le uova, venivano benedetti. Il 25 aprile, festa di S.Marco, terminava ufficialmente il periodo di incubazione e iniziava l’allevamento. In quell’occasione, a scopo beneaugurale, si usavano bruciare in una scodellìna alcuni rami d’olivo benedetti alla Domenica delle Palme.

In passato, l’allevamento dei bachi da seta era molto diffuso in Valpolicella, ed era principalmente compito delle donne di casa, che in questo modo riuscivano ad assicurare al magro bilancio famigliare una piccola entrata in più. Per allevare i bachi si usavano gli stessi locali in cui fino a poche settimane prima si erano appassite uve: i fruttai. Si prendevano le arele e le si copriva con le foglie di gelso, così che i bachi una volta usciti dalle uova trovassero subito un’abbondante riserva di cibo. Oltre alle donne, tutta la famiglia era coinvolta in questa attività, perchè bisognava controllare che i preziosi vermetti non si ammalassero. Per questo il locale doveva essere anche ben aerato e pulito, e dovevano esserci sempre foglie fresche di gelso a disposizione. Col tempo, i bachi si trasformavano in bigati, si richiudevano nel bozzolo e a questo punto erano pronti per essere venduti alle filande. Le arele allora venivano liberate da foglie e animaletti, e il fruttaio tornava vuoto e pulito… in attesa del nuovo raccolto di uva.